Diritto di tutte le bambine e bambini
Ma cosa si intende, cosa vuol dire “speciale” ?
Dal lat. specialis, da species “specie”, per speciale si intende ciò che distingue, che è contrario al generale o generico.
Lo speciale è l’eccezionale, lo straordinario, lo sceltissimo, il particolare che si contrappone al generale.
Tale interpretazione della specialità sopravvive in maniera evidente in biologia: la specie è sottocategoria del genere che è sottocategoria della famiglia e via dicendo; nel diritto: leggi speciali disciplinano e derogano (sostituiscono) ambiti coperti da leggi generali; e in
generale in ogni ordine tassonomico (classificazione di tutti gli esseri viventi).
Nella storia recente la Pedagogia Speciale (1) è sostanzialmente riconosciuta come pedagogia che si occupa di individui con deficit e con disabilità, è una disciplina relativamente recente che si riferisce a una forma di conoscenza, un sapere teorico-pratico volto a individuare e definire modelli di comprensione e di intervento nei riguardi delle persone in situazione di disagio, handicap, malattia. Sulla base di tali presupposti la pedagogia speciale è una branca
della pedagogia che interviene, con modalità ben definite, in tutte le aree riguardanti la disabilità, (soprattutto quella cognitiva, ma anche motoria e socio-affettiva).
Nella sua interpretazione e finalità originarie, opera insieme ad altri trattamenti educativi, riabilitativi, rieducativi, e in situazioni di disagio psichiatrico. Scopo della pedagogia speciale è quello di accompagnare la persona nel recupero e nell’attivazione delle sue potenzialità spesso messe in crisi durante il suo sviluppo. In questa disciplina l’educazione si presenta così in una doppia funzione: di sostegno al Soggetto nella ricerca delle proprie capacità, e nella
ricostruzione e ridefinizione della sua personalità. In generale, la pedagogia speciale ha lo scopo di ricostruire un senso, per coloro che sono circondati da una situazione di disagio, di devianza o di handicap, che hanno bisogni educativi particolari, speciali.
I bisogni educativi speciali (BES) sono definiti dalla classificazione internazionale del funzionamento (ICF-International Classification of Functioning) come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento,
dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata”. Possono essere considerati come paradigma di lettura della complessità e della varietà delle difficoltà di apprendimento. Tale visione richiede di ampliare lo sguardo verso le esigenze formative di ogni individuo, andando oltre ai soli deficit certificabili e prendendo in considerazione ogni funzionamento che anche per il singolo soggetto diventa
problematico. Per rispondere ai BES si ricorre al Piano didattico personalizzato (PDP), strumento utile per progettare modalità operative, strategie, sistemi e criteri di apprendimento
per ciascun allievo.
Verificate tesi sostengono la necessità di un modello di ricerca privilegiato, basato sulla ricerca – azione per riaffermare il coinvolgimento del ricercatore nella progettualità dell’educando al
fine di permettere un cambiamento.
Per molto tempo l’insegnante di sostegno assolveva ai vari atti legislativi emanati compilando il piano educativo personalizzato talvolta condividendolo con le famiglie e gli specialisti ma dal 2002 in poi è stato introdotto un nuovo approccio International Classification of Functioning, Disability and Health ICF del 2001 (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) al quale fece seguito nel 2007 l’ICF – CY (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute per Bambini e Adolescenti).
Nelle classificazioni internazionali dell’OMS (classificazione della disabilità e della salute), le condizioni di salute come le malattie, i disturbi e le lesioni vengono classificate principalmente nell’ICD10 che fornisce un modello di riferimento eziologico. Il funzionamento e la disabilità associati alle condizioni di salute vengono invece classificati nell’ICF. Queste due classificazioni sono complementari e dovrebbero essere utilizzate congiuntamente.
L’ICF – CY può aiutare i clinici, gli insegnanti, i ricercatori, gli amministratori, i responsabili delle politiche e i genitori a documentare le caratteristiche importanti per la promozione della
crescita, della salute e dello sviluppo dei bambini e adolescenti. Tale classificazione offre un modello concettuale di riferimento, un linguaggio e una terminologia comuni per registrare i problemi che emergono nella prima infanzia e nell’adolescenza, che riguardano le funzioni e le strutture corporee, le limitazioni dell’attività e le restrizioni alla partecipazione, nonché i fattori ambientali rilevanti per i bambini e gli adolescenti. In tale prospettiva risulta più funzionale la stesura del Progetto di Vita all’interno del Piano Educativo Individualizzato, solo in quest’ottica l’individuo con disabilità diventa protagonista del proprio percorso educativo.
Inoltre, negli ultimi anni, la pedagogia speciale si sta occupando del rapporto tra bisogni educativi speciali e nuove tecnologie con particolare attenzione alle tecnologie assistive, agli strumenti compensativi e a tutte quelle tematiche che coinvolgono la formazione dell’insegnante di sostegno anche sotto il punto di vista dell’avanzamento tecnologico e dei punti di forza, debolezza, rischi e opportunità che comportano nella vita quotidiana di un disabile, ogni tecnologia può infatti favorire o sfavorire il processo di insegnamento – apprendimento che si instaura tra docente e discente. Un contributo importante alla didattica inclusiva e alla pedagogia speciale è stato fornito dai Disability Studies (DS) che si pongono
in confronto critico con il modello medico e con il linguaggio normativo e sociale legato al concetto di deficit, si pongono l’obiettivo di esaminare le pratiche istituzionali e sociali che causano l’esclusione, perseguono l’emancipazione e autodeterminazione nella prospettiva dei diritti. Nati nel Regno Unito alla fine degli anni 70 grazie all’attivismo delle persone disabili, troveranno terreno fertile nel Stati Uniti per poi diffondersi in Europa e recentemente in Italia. Le aree di criticità nella divulgazione dei DS in Italia sono il sociale, la scuola e i servizi per la disabilità. A livello sociale occorre superare l’epistemologia medico-sociale e rivedere finalità, obiettivi e organizzazione dei servizi per la disabilità. In ambito scolastico la normativa ha accentuato il legame tra certificazione e accesso agli aiuti nei processi di insegnamento/apprendimento, l’adozione di figure specializzate esterne porta ad una progressiva deresponsabilizzazione degli insegnanti, va snellito il processo formativo degli insegnanti specializzati e rivista la scuola nella sua forma strutturale. Il ruolo dei servizi viene rivisitato in chiave di costruzione per l’appartenenza sociale, rendendo le persone disabili
attrici della propria vita, abbandonando il concetto di abilismo e produttività della persona a favore di quello di inclusività di ambienti e società attraverso l’abbattimento di barriere architettoniche e pregiudizi. I DS rapprensentano un orizzonte di ricerca articolato e
consolidato, grazie al modello sociale evidenziano processi e regole escludenti ribaltando la visione assunta per anni che vede una relazione causale tra menomazione e disabilità.
L’inclusione deve essere frutto di una visione multiprospettica sociale, storica e governamentale.
Fra i variegati, in molti casi complessi e confusi sistemi di classificazione e riferimenti educativi, nell’ambito della scuola e dell’educazione, emergono aggiornati approcci culturali, ideologici e metodi di ricerca che intendono indagare, dare significato alle differenze biologiche e alle implicazioni pedagogiche che derivano dal modo in cui queste sono intese. Le persone disabili non sono oggetto, ma attori di ricerca. L’inclusione scolastica mira a rendere inclusivi i contesti, la disabilità non è qualcosa che riguarda il corpo e la mente, ma è il risultato di strutture e atteggiamenti discriminatori. È necessario puntare sulla ridefinizione di concetti e significati del “diversamente abili”, promuovere nuovi parametri e sistemi educativi, aggiornate professionalità dei docenti e innovative strutture scolastiche, che prendano atto che ognuno ha abilità simili ma non uguali, è un “diversamente abile” !
Come richiamato da Patrizia Gaspari (2): “dagli anni Settanta la natura eco-sistemica dell’impegno professionale dell’educatore, gli interventi nel territorio, il lavoro quotidiano, nell’ottica della prevenzione e del recupero, costituiscono il tessuto di capacità delle professioni di aiuto. La differenza tra modello medicalistico e modello educativo si evidenzia proprio nella qualità del rapporto interpersonale, nella sua durata e nelle sue modalità”. L’acquisizione di tali concetti e significati pone il problema del cambiamento di mentalità, di riferimenti e professionalità educative, soprattutto di quanti, cresciuti in continuità con professionalità tradizionali dell’imitazione del già dato, continuano a professare obsolete conoscenze con le quali, di fatto, vengono conseguentemente formate le nuove generazioni. In una realtà sempre più caratterizzata da ritardi culturali, da sopravviventi reminiscenze di mentalità patriarcali, soprattutto dal fallimento di anacronistici e ripetitivi sistemi formativi e sociali che non hanno voluto o saputo aggiornarsi, sono cresciute intere generazioni “povere” di fantasia, immaginazione, invenzione, ma “ricche” di superficialità, ipocrisie, stupidità, di quel “cretinismo”(3) che le rende disabili, incapaci di cambiare, di pensare in grande, di promuovere le proprie “unicità”, di scoprire e promuovere la propria creatività.
Ma il cambiamento, che a mentalità adulte strutturate appare difficile e forse impossibile, in realtà non è altro che il riscoprire e attivare quella che è una proprietà naturale di ogni persona, soprattutto di quelle nuove generazioni, ancora genuine, non condizionate da sistemi formativi omologanti. Basterebbe indagare, aggiornare le conoscenze sulle “ricche” proprietà della persona dalla sua gestazione, non considerare e chiamare più i bambini “minori”, smettere di continuare a dire loro “stai fermo, stai buono, sei ancora piccolo, “non puoi”, devi fare quello che ti dico io”. Basterebbe riconoscere ai bambini proprietà e diritti, offrire loro, con libertà e più competenza, curiosità e fantasia di quanto oggi non sia dato, le occasioni di scoprire e promuovere le loro “unicità”, di crescere con la conoscenza che la persona è un “laboratorio”, creativo, produttivo, che la persona è “lavoro” permanente di giorno, di notte, lungo le diverse stagioni della vita.
Si provi a pensare, ad immaginare come potrebbero crescere, cosa potrebbero pensare e fare le nuove generazioni, quei bambini di cui tanto si parla ma che poco si conosce e si fa, se invece di continuare a crescere con programmi e sistemi di apprendimento omologanti, preordinati ed uguali per tutti, ancora di fatto fondati sull’istruzione, sulla trasmissione, ripetizione del già dato, si offrissero e costruissero con loro le occasioni del conoscere, progettualità educative di eccellenza, straordinarie, “speciali”, quale loro diritto.

Come già riportato in premessa, constatato che nei modi di pensare e di fare, in particolare nei sistemi formativi vigenti, aldilà di settoriali inefficaci riforme non si intravvedono organici progetti e iniziative di cambiamento da parte delle Istituzioni preposte, si ritiene quanto mai legittimo e doveroso ricercare e promuovere nuove idee, aggiornati parametri e progettualità educative da approfondire, sperimentare e verificare nei risultati. In tal senso si richiama ad ad una particolare attenzione, lo sviluppo di una diversa “Architettura Educativa”, di aggiornate conoscenze e modalità educative, in particolare sulle proprietà psico-fisiche e relazionali della persona. Innovativi riferimenti e modalità educative, opinabili, ma ragionate e svolte nel tempo che, oltre alle proprietà di “imitazione”, sulle quali sono cresciute intere generazioni, promuovano anche quelle della “scoperta” e della “creatività” ancora sostanzialmente assenti nei sistemi e curriculum formativi dei vari ordini scolastici e Istituzioni educative preposte. Una innovativa azione educativa che raccomandi da subito ai bambini di pensare in grande, di pensare difficile, che “offra” e costruisca con loro le occasioni del conoscere.
In pratica quello che l’insieme dei riferimenti del testo prefigura e propone ad approfondimenti ed auspicabili sviluppi, è l’avvio di una “Innovativa Filiera Formativa” fondata su una “Pedagogia Speciale” che:
- riscopra e promuova ruoli e funzioni educative genitoriali dal periodo prenatale;
- valorizzi le proprietà del parto naturale;
- prosegua con il superamento delle tradizionali conoscenze, sistemi, professioni e strutture di “Asilo” e di “Scuola Materna”, ancora di fatto estese (nelle denominazioni e nei fatti);
- si evolva nel suo significato e ruolo educativo, divenendo “offerta educativa di qualità”, quale “diritto” esteso a tutti i bambini.
Una azione educativa speciale, di eccellenza, che inizi dalla conoscenza della situazione di partenza e si evolva con la progettazione e sperimentazione di “protocolli educativi
personalizzati” promossi con quelle proprietà ludiche (da molti purtroppo confuse e finanche dimenticate) del giocare a: cercare, guardare, toccare, manipolare, ideare, immaginare, inventare; a scoprire e promuovere quell’origine e fondamento della vita che si chiama creatività.
Ricordando quanto Loris Malaguzzi (4) ci diceva nei ricorrenti incontri del “Gruppo Nazionale di Studio Nidi e Infanzia”:
“quando l’occhio salta il muro, aiutiamo le bambine e i bambini a superare i muri delle ovvietà, delle abitudini, delle ipocrisie, delle pavidità”; e aggiungeva: “a noi spetta con libertà e più competenza, curiosità e fantasia di quanto oggi non sia dato, offrire ai bambini e costruire con loro le occasioni del conoscere”;
le intuizioni, le idee, l’insieme delle esperienze di vita e professionali rappresentare dal testo, lungi dal porsi quali “ricette” da imitare, si offrono quali riferimenti, testimonianze di quel “giocare” nell’infanzia, nei “capannoni” del Carnevale di Fano, a ideare, costruire, dipingere maschere”. Esperienze al tempo vissute istintivamente che, riscoperte e promosse nei loro contenuti e proprietà, nel tempo sono divenute prestigiose allegorie carnevalesche, eventi creativi, significativi progetti ed esperienze musicali ed educative, quel “giocare” con
l’attività “grafico/pittorico/plastica” che, promosso in modo organico dall’infanzia, oggi si propone quale “laboratorio educativo”, vero e proprio Ateneo dell’Infanzia (5)’ dove scoprire ed evolvere le proprie facoltà di fantasia, di immaginazione, di invenzione, quel pensare
“aperto”, in grande, quel voler e saper costruire dapprima i propri giocattoli e progressivamente quelle destrezze che nel crescere della vita divengono ingegno, esercizio e azione, abilità, qualità della persona, delle sue relazioni, delle proprietà dei mestieri, delle Arti,
dei modi di vivere, di quell’insieme di sogni, idee, progetti, esperienze educative in costante evoluzione che, promosse in modo organico, offrono a bambini e adulti, dai loro primi momenti di vita e lungo le diverse stagioni della vita, le occasioni di crescere “sani”, forti, resistenti, capaci di imitare e di scoprire, di ricombinare e rivitalizzare progressivamente, in sintonia con un mondo che va avanti e non aspetta, quelle proprietà e valori originari della creatività della vita che la natura consegna ad ognuno dal suo concepimento.
La creatività “salva” la persona
(1) Fra i padri della Pedagogia Speciale possiamo senz’altro annoverare i primi pedagogisti medici, fra cui J.M.G.Itard , E. Séguin, Maria Montessori e altri come Victor Frankl, De La Garanderie, Decroly, Claparede.
(2) Patrizia Gaspari, Docente Ordinario di Pedagogia Speciale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Urbino.
(3) Alfredo Pacassoni “Come si diventa Cretini” Testo pubblicato a cura del Consiglio Regionale Marche 2018.
(4) Loris Malaguzzi,
“L’ideatore degli Asili Nido di Reggio Emilia, l’amico dei bambini che per loro “tirava la giacchetta” agli Amministratori, l’educatore profondamente consapevole delle responsabilità verso le famiglie,
verso la società ma soprattutto verso le bambine e i bambini ai quali voleva garantire una crescita colta,
intelligente e felice”.
(5) Alfredo Pacassoni. L’Università delle Bambine e dei Bambini. Ed. Cooperativa Sociale Tiquarantuno “B”. Pesaro 2015.
Elaborato video a cura delle partecipanti al Laboratorio di Didattica Speciale: codici comunicativi dell’educazione linguistica – Percorsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità svolto presso l’Università di Urbino – Aprile 2024
